It’s Only Rock And Roll but che palle! Valient Thorr – Our Own Masters (Volcom Entertainment, 2013)

“Questo disco probabilmente è la cosa migliore che abbiamo mai fatto. A volte si dice sperandolo e poi non è così. Questa volta penso che quelli che hanno seguito la nostra carriera siano in grado di vedere la crescita”. Valient Himself

Ehm… sssssì. Non solo la copertina inguardabile (ma l’avete vista bene?) è degna di entrare nella mitica Gallery di Max Novelli e il suo Rude Awakening Metal, proprio tutto l’ultimo Valient Thorr è deludente. Intendiamoci, a momenti diverte, è gasante (e non nel senso che intendeva Hitler) e potrebbe fare da colonna sonora ideale se decideste di rapinare vecchiette all’uscita della posta mettendovi in cuffia una musica che consolidi la vostra convinzione di non stare più dalla parte di Bat-Man; io però mi aspetterei di meglio da questi tizi. Sì, lo so che i Foo Fighters sono il gruppo più derivativo della storia del rock ma è a loro che penso quando i Thorriors attaccano con No Strings Attacched, i Frou Faigher e ho detto tutto… O se volete un’infinità di altri gruppi che dopo il suicidio di Cobain cercarono di tirarci su il morale con l’entusiasmo di un nerd che ha appena subìto un pompino dal preside culturista. Insomma, cosa manca a questo benedetto album? Le idee, l’amalgama, una produzione adeguata (Endino, Endino, perché ti abbiamo abbandonato?) e soprattutto quell’imprevedibilità che via via una delle band più interessanti e coinvolgenti degli anni recenti ha perso a metà strada del penultimo Stranger. Già, le cose iniziarono a farsi grosse e vennero le vertigini a tutti quanti, noi e loro (perché dopo Immortalizer non sembrava davvero che il rock potesse essere salvato ma che qualcuno ci avrebbe fatto divertire come non capitava dai tempi dei Motley Crue questo sì). I Thorriors, così tanto avvezzi ai voli spaziali, hanno però sentito cedere le ginocchia villose e, da quelle alture in cui avrebbero potuto fare il nido sotto le ascelle di Malcolm Young, sono planati nel sicuro lido del revivalismo pedestre dove le birre e i gilet di jeans zeppi di toppe (o toppi di zeppe) fanno sia da confezione che da contenuto e tutto si riduce a un inno per un passato arcadico di vinilica stronzaggine. 

Certo, Immaculate Consumption Master Collider hanno il tiro giusto ma nessun guizzo, sembrano passeggiatine isteriche nella riserva venusiana che conosciamo ormai troppo bene. Cerberus riesuma ancora il vecchio punk e lo mescola alla salsa spiritual di un predicatore pedoetilico in cerca di anime da infilzare e Good News, Bad News è piena di quell’irruenza hardcore che salva tutto dal solito am(h)ar(d)cor(e)d certosino della collezione di dischi 77-83 di un fratello più grande e ormai al sicuro in qualche ufficio universitario. Ma ciò non mi basta, cazzo! Io mi aspetto molto altro da un tipo che si esibisce con la panza in bella mostra e gli stivaletti rossi da wrestler (letteralmente irresistibili e degni di far rinascere il mio feticismo rockettaro ormai fermo alla Fender di Hendrix e i calcoli renali di Paul McCartney.)

Insomma, non voglio arrendermi alla solita parabola del gruppo che non riesce a catturare in studio l’energia corroborante, il genio fatale delle esibizioni live… io credo ancora in Valient Himself e la sua famiglia venusiana, faccio quasi il tifo e per il prossimo album scommetto un sacchetto di cellule morte della mia nuova figliola che avremo una roba incredibile che ci ripagherà di questo intermezzo da gregari del vest metal.

E comunque, non è vero che i Valient Thorr sembrano ascoltare solo musica non più recente del 1985 (come dice il Biani) anche se la rileggono da veri secchioni: nel brano Torn Apart per esempio sanno portare avanti il discorso dei Ratt meglio degli originali (riesumati in qualche ospizio dalla Roadrunner); in Crowdpleaser sparano le feci di Lemmy da un cannone fino a ricoprire la derelitta roccaforte del metalcore. Nervous Energy invece ci riporta nei licei olezzanti di erba e fiumi di sangue mestruale degli anni 90, ben prima che si aggiunga il puzzo di pallottole e carne bruciata di ColumbineCall Of The Dogs scippa il riff più celebre dei Queens Of The Stone Age e lo impasta con il ritornello di Revolution Is My Name dei Pantera e anche se il Carli dirà che è fico due volte e Woody Allen aggiungerebbe che “se devi copiare qualcuno, copia dal migliore” io non tollero plagi, neanche inconsci da chi avrebbe le palle per scrivere nuove pagine di corroborante hard muisec! E andiamo!, questi bricconi che usano deodoranti da toletta per cani e mangiano cetrioli con la marmellata perché gli ricorda le merende di nonna Venere stanno battendo la fiacca? Ehi voi, Thorriors, che siete venuti a fare su questa terra? Volete trarci in salvo o finire nella merda dell’autocompiacimento insieme a tutti noi? (Francesco Ceccamerda)

Pubblicato il 17 giugno 2013, in La Cruda Verità, Recensioni con tag , , , , , , , , , , , , , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.

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