Le origini del black metal passano per le budella di un cane squartato? – DEAD PEASANTS – I (Autoprodotto)

Da ragazzino, ogni volta che pensavo al Maryland, immaginavo infinite distese collinose, recinti di legno e staccionate su una delle quali, la figlia del cowboy di turno, appoggiata indossando una lunga e larga gonna bianca e un top che lasciava intravedere più di quanto il padre avesse voluto e permesso, si avvicinava a me con passo sicuro, nei suoi stivali marroni, con un sorriso raggiante e spietato, mi buttava a terra con una spinta da vera contadina e mi scopava tra il grano ancora verde. Poi mi è capitato un atlante enciclopedico tra le mani ed ho scoperto che il Maryland sta sulla costa, quindi piuttosto che cambiare versione e far indossare alla prosperosa biondina gli abiti della marinaretta, ho preferito mantenere la protagonista e cambiare location. Ho trasferito il porno pensiero nel Minnesota del sud e chi s’è visto s’è visto. Ma il pallino del Maryland mi è sempre rimasto. Trattasi di uno dei primi stati a ribellarsi al dominio della corona inglese, cosa che per me ha un certo valore, e i Baltimore Ravens hanno una dignitosa storia nella NFL. Grazie ad alcuni telefilm ho anche scoperto che Baltimora è una delle città più violente degli Stati Uniti, e arriviamo dunque a noi, perché proprio da questa città arrivano i tre ragazzi di cui andiamo a parlare. Attivi dal 2011, hanno dato alle stampe solo un EP, questo è il loro primo album su lunga distanza, non hanno ancora un contratto, ma credo di non sbilanciarmi se azzardo un pensiero ottimista, spero di vederli distribuiti su larga scala nel giro di poco. Ladies and gentleman, from Baltimore, Maryland, John Burrier on the drums, Jacob and Sean Seaton both on voice and guitar: the DEAD PEASANTS! (scusate la presentazione alla Blues Brothers, ma l’entusiasmo mi pervade). Ovviamente il monicker mi ha fatto tornare dei dubbi: “ma allora i contadini esistono anche in Maryland, cazzo!”. Archiviata la perplessità su tutto ciò che negli anni avevo distrattamente imparato, senza indugio vado a premere il tasto play per ascoltare questo prodotto. Nel frattempo apro a tutto schermo la cover del cd per studiarmela un po’. Inquietante, un cane appeso ad un gancio, con le interiora che pendono dal ventre, se siete vagamente animalisti o facilmente impressionabili non fa per voi. D’altra parte anche la musica di questi tre bastardi non è per tutti. Si tratta di un vero e proprio ritorno alle origini del Black Metal più crudo e minimalista, quel raw BM che abbiamo amato in tanti, e che in molti con scarsa fortuna hanno cercato di rievocare tra i solchi di una serie interminabile di dischetti che sono finiti nel dimenticatoio. Questa volta, invece, abbiamo la possibilità di tornare a godere per una quarantina di minuti, riempirci le orecchie con certe sonorità che erano state sepolte dalle produzioni hi-tech, con certe chitarre zanzarose e lancinanti che da anni avevano ceduto il passo a riff troppo metal e troppo cadenzati in un genere che invece deve all’essenziale della sua brutalità la sua fama e la sua coerenza. Questo primo cd dei defunti contadini degli stati uniti orientali è perfetto nella sua semplicità evocativa, nei suoi suoni crudi, come il genere vuole che sia, nella straziante melodia della voce e nelle serratissime e poco complicate ritmiche. I tre ragazzi sanno suonare e ce lo dimostrano a tratti in brevi passaggi in cui la tecnica prende il sopravvento per alcuni secondi per poi ricadere con classe nel marcio e persecutorio ostinato del black metal più puro. L’iniziale Wound Dog nonostante la durata scorre via e accende la miccia di un lavoro esplosivo che non ha mai un accenno di cedimento, la dinamite sta per esplodere ed ogni momento potrebbe essere quello giusto. Black Moon, Left Upon the Dark Winged Beast of Festering Flash and Heavy Breathing sono il cruciale passaggio verso sentieri di norvegese memoria, in particolare Left Upon… è un inno al dolore alla sofferenza, al più putrido sentimento anti umano. Untitled è un brano di passaggio, si ascolta sinistro e rumoroso, lascia intendere che di lì a poco succederà qualcosa di pericoloso, chitarre in feed, e sottofondo burrascoso, una intro a metà disco che è il preludio ad un finale devastante. Molotov Gospel e King Bastard chiudono questa fatica, impeccabili, violenti, maligni. Che suoni, che rabbia! Il capolavoro è a due passi, la miccia sta per innescare un’esplosione che creperà una montagna. Ed è proprio l’ultima traccia la soluzione finale. La più complessa dal punto di vista della costruzione, la più “sperimentale”, ricca di cambi di tempo, di atmosfere agghiaccianti e di accelerazioni da martirio, con un cadenzato inizio che strizza in verità un po’ l’occhio al nuovo black metal e a certe composizioni progressive ma che si trasforma nell’arco dei suoi cinque minuti di vita, una serie infinita di volte, rallenta fino al tedio (nell’accezione più intimista del termine) per una manciata di interminabili secondi, per riprendere il via senza mezze misure verso una conclusione che lascia a bocca aperta. Erano anni che non ascoltavo qualcosa di così perfetto.

(Francesco “Franz” Benvenuti)

Pubblicato il 19 luglio 2013, in Recensioni con tag , , , , , , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.

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